IL SAFARI PIU’ DIFFICILE

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Quando si parla di Safari in troppi galoppano indietro nel tempo a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, nulla è paragonabile ad allora a cominciare dalla fattibilità, poi c’è stato il Safari con tre tappe e mille chilometri cronometrati. Tutte gare durissime, per il fisico dei piloti e dei mezzi in gara, ma confondere gara dura con difficile è sbagliatissimo, perché questo Safari è ..

Il Safari anni settanta ottanta era una gara durissima, ma assolutamente anomala per i rally ma anche per il mondo dei raid, una gara di durata imperniata sulla regolarità e non sulla velocità. Fatta con vetture costruite su misura, super rinforzate, ma con motoristica e meccanica dove l’affidabilità sovrastava ogni eccesso legato all’aspetto puramente prestazionale. A fine anni novanta il Safari è diventato a tutti gli effetti una gara di velocità, con delle speciali vere, una dozzina di speciali per una migliaiata di chilometri. Una trasformazione che ha dato una importante svolta alla gara, portandola all’interno delle regole basiche dei rally moderni. Tirandola via da quel limbo della regolarità che aveva caratterizzato i rally prima degli anni sessanta. Oggi il layout è lo stesso delle altre gare targate WRC, e su questo ci sarebbe parecchio da discutere, ma non c’è nulla di più sbagliato di pesare l’impegno dei piloti in base al percorso ridotto. Senza ritornare indietro di quaranta cinquant’anni dove di rally c’era davvero poco, allora tutto era una cosa a se stante, oggi improponibile ma comunque border line anche in quei tempi dove non si andava tanto per il sottile. Un accostamento però lo si può azzardare con i Safari a cavallo del nuovo millennio, gare molto lunghe e dure con speciali che a volte superavano i cento chilometri. Giornate da trecentocinquanta, quattrocento chilometri cronometrati, un impegno fisico importante che richiedeva un’ottima forma fisica, ma l’esercizio al volante era quello di una gara di durata, dove non si va a tutta ma bisogna alzare, ed abbassare il ritmo in base alle condizioni della strada e soprattutto non stressare troppo la propria meccanica. Con speciali e tappe così lunghe ognuno poteva impostare tatticamente la sua gara e con l’evolversi della situazione aggiustare il suo passo. Se vogliamo tatticamente non è cambiato molto, anche il Safari anni venti bisogna correrlo sul passo, ma rispetto a prima bisogna avere una capacità di leggere la strada e capire subito quale è il limite che non si può sorpassare. Con un chilometraggio così corto però tenere un ritmo troppo basso può costare carissimo, perché non ci sono i chilometri per recuperare distacchi importanti. Ma dall’altro canto se il ritmo nella prima metà gara è troppo il rischi di vedere la propria vettura smontarsi nel finale, come l’anno passato è successo a Neuville è altissimo. Ed anche se può sembrare paradossale l’esercizio proposto è il più difficile, superiore ai rally durissimi del passato, perché questa volta a disposizione c’è un colpo solo. Questo non ha nulla a che vedere con la bellezza, oppure il fascino della gara, ma è giusto sottolineare che non stiamo parlando di una gara per signorine anzi .. Ragionare con la fatica fisica e quanto si suda può essere valido per chi parte per arrivare in fondo, ma per quel manipolo di piloti che punta a vincere bisogna considerare tutti gli aspetti della gara.

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